Racalmuto: salamoia underground

“Ce ne ricorderemo di questo pianeta”

(Epitafio sulla tomba di Leonardo Sciascia)

Ti ci devi calare nelle viscere della terra, nel sottosuolo profondo, per capire, ricordando, cosa furono un tempo le lotte per i diritti dei minatori al cospetto della geologia terrestre. Zolfo, sale, carbone, ferro. Miniere dismesse, miniere attive, oggi quasi integralmente meccanizzate. Sicilia, Sardegna, Isola d’Elba, Galles, Belgio. Di quelle gallerie oggi restano per lo più i musei minerari.
Talking about the workers rights! Talking about the miners rights! The Union forever defending our rights, down with the blackleg, all workers unite![1]

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Nel giorno dell’Overshot day, che studia e decreta il limite delle risorse della terra calcolata di anno in anno – già esaurite ad agosto per il resto del 2015 –  ti calavi dunque nelle viscere della terra di Racalmuto, dove si depositarono i sali del Mediterraneo 6 milioni di anni fa, quando il bacino, ancora privo della razza Sapiens, si essiccò per la crisi idrica alla chiusura dello Stretto di Gibilterra. Ddra sutta, 10 milioni di tonnellate di salgemma incontaminato, ci sunno!

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Lungo la calata del muro di cinta del cimitero scendevi dunque sotto il pico del sole, percorrendo la strada sbrecciata, sfranta nell’asfalto dal peso dei TIR dell’Italkali che ogni giorno portano le tonnellate di salgemma estratto dalla miniera direttamente agli scaffali dei supermercati della Penisola tutta, fin nelle mani che quotidianamente salano cibi per le papille gustative umane.
In quel cimitero abbacinato dal sole le spoglie mortali di Leonardo Sciascia riposano sotto una lastra di marmo bianco, con quell’enigmatica, ma in fondo chiarissima frase incisa: “ce ne ricorderemo di questo pianeta”.  A te che passi, a te che resti e resterai, il monito del ricordo, l’avvertenza che senza la Memoria Umana nessuno sarà in grado di ricordarlo questo Pianeta in piena crisi di risorse ambientali.

Oggi in miniera ci lavora il “minatore continuo”, la fresa continua, dice l’ingegner Bonfiglio.
Una macchina todesca lunga 20 metri che non ha bisogno di sindacato operaio ma di manutenzione specializzata e pezzi di ricambio per funzionare alla perfezione se ben oleata, con la continuità della macchina comandata da mano umana, spingendo qualche bottone. Nel giro di un trentennio tutto è cambiato per l’estrazione mineraria. Non si spara più nelle viscere della terra: candelotti con miccia a combustione lenta, Raus! Entrata in funzione la fresa niente più minatori ma macchinisti, meccanici, ingegneri, autisti di jeep, muletti e camion, addetti informatici al controllo della linea d’impacchettamento del,  prodotto lavorato, ammiscato ccu lu iodio pi li tavuli di li cristiani. Macchine tedesche e giapponesi, packaging emiliano. Sindacato spappolato dall’innovazione tecnologica.

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A bordo della jeep Toyota guidata dall’ingegnere t’apprestavi dunque all’ingresso del ventre terrestre: un foro nero nella montagna brulla, abbacinata, abbrucciata. Foro di groviera rocciosa a forma di ferro di cavallo fatta di 70 km di gallerie. Montagna tarlata dalla fresa del minatore continuo. Nel buio budello ventrale dal suolo sconneso illuminato dai neon, scendevi a spirale, scendevi per 200m sotto il livello del mare, dove il mare s’essiccò ricoperto dalle argille milionarie nelle ere geologiche. A quei tempi senza tempo l’agente inquinante era assente, la contaminazione non aveva concezione antropologica, eppure quando quello che il sapiens sapiens chiama stretto di Gibilterra si chiuse, tutte le specie acquatiche che ci vivevano, in quel bacino, piano piano perirono, si incistarono cadaveriche nel tripoli, nelle marne calcaree in una mostruosa e progressiva apocalisse ambientale. Il sale depositato si mineralizzò a strati, in filoni.

SAM_4687Quando la jeep si arrestava a quota 100m sottosuolo scendevi dal mezzo per ammirare la conformazione concentrica salina, screziata dal bianco al grigio scuro, dal bianco accecante illuminato dai fari al grigio neve sporca. Taglio di fresa che permette la visione stratigrafica terrestre come la motosega mostra gli anni di un albero centenario reciso al piede. Strato su strato, cerchio concentrico su cerchio concentrico il tempo si fa materia per gli occhi analitici del sapiens sapiens.

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Calavi di buia curva in stretta curva, di ampio sbalanco in orrido sbalanco verso la frontiera più dura della miniera dove, come insetto preistorico, la todesca fresa era sistemata in attesa di essere mossa dalla mano umana a rosicchiar la roccia, a macinar lu sale della terra. Arrivati che foste al punto più profondo il silenzio sotterraneo fu immane, spenti i motori, solo le voci, solo l’odore gonfio del sale, indefinibile miscuglio di particelle di gasolio combusto dei motori e salamoia milionaria. L’ingegnere dice che ddra sutta talvolta al trapanar della fresa si trovano delle sacche d’acqua del Miocene che s’ammisca con il sale e ne nascono queste pozze salmastre, dense, opache e biancastre, oleose al tatto che ci potresti immergere qualunque essere vivente per conservarlo ben bene per qualche milione di anni ancora, intonso e mummificato come uno stoccafisso.
L’ingegnere dice che ddra sutta, nel silenzio più assoluto, oltre agli esseri morti da conservare in salamoia ci potresti calare le scorie radioattive giacché nelle miniere di sale la radioattività è al sicuro più che altrove. Ce le potresti calare per chiudere il conto con le centrali nucleari lasciando ai posteri il regalo antropocenico più resistente, il regalo più velenoso che il sapiens sapiens lascerà ai suoi simili, e a tutte le specie viventi, specie che ha triturato nella manciata di secoli in cui ha spadroneggiato famelico su questo Pianeta.
Caro sapiens sapiens, stoccale e lasciacele pure le tue scorie ddra sutta, tanto delle tue tracce culturali peculiari e materiali – dalle antiche città alle testimonianze artistiche, fino a quelle tecnico-industriali – non resterà alla fine della Storia che un cumulo di macerie indistinte, tritello di frammenti illeggibili a qualunque extraterrestre intelligente dovesse mai venire a vedere cosa hai combinato, in questa casa tua che chiami Pianeta Terra.

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Rimesso il muso della Toyota verso l’uscita del pozzo profondo, il mezzo risaliva sicuro con lo scalpitio dei suoi cavalli motore, caricata la jeep di campioni salini trasparenti e bianchissimi giungevi purificato alla superficie a riveder lu sole, accecante sole.

[1] Billy Bragg, There is power in a Union, in Talking with the taxman about poetry, (reinterprtazione del brano operaio di Joe Hill, 1913).

3 pensieri su “Racalmuto: salamoia underground

  1. ………Siccome sa di sale
    lo scendere e salir dentro le cave

    ma Dante qui non c’è stato, e se ci fosse stato non avrebbe fatto di meglio quanto a resa scrittoria e descrittoria (ma forse in terza rima)

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