Il cavaliere, la morte, il diavolo e i santi: Acrillai, Gulfi, Chiaramonte

Hic decumbimus lector vide quod sumus.
Fuimus quod es eris quod sumus… 

Tuitio Fidei et Obsequium Pauperum…


Atteniamoci semper immantinenti ai motti gerosolimitani maltesi in esergo a memento mori, a fede e ossequio, nobilmente. Atteniamoci agli aiuti cavallerizzi rivolti, cristianamente eppur laicamente, ai bisognosi di ogni provenienza, colore e ideologia. Attieniti alla etimologica Terra Amena di Cavalieri, Santi e Musei che a sorpresa il viandante vede svettare dalle pendici del Monte Arcibessi per poi rimirare a mozzafiato, e all’infinito, dal balcone Reale, plasmato Primo umbertino, panoramico, baffuto a mitraglia, il filo geologico dell’altopiano ibleo.

IMG-20180827-WA0038Balcone spalancato a 180° verso il canale di Sicilia, verso Acate, Comiso, Vittoria, verso Kamarina, Gela e in buona visibilità, financo a Licata.

Guatare mai t’abbasti giacché la mutevolezza meteorologica, stagionale, temporale, semper cangerà lo spettacolo, muterà lo scenario atmosferico, il fulcro mirabile cangerà con la riconoscente sorpresa di tal balconata infinita, dove svetta pur anche un cedro centenario libanese, atto a sieste garibaldine.

Attieniti alla 61a crono-scalata a cavallo motore sulla cresta Iblea chiaramontana in una giornata di vento a portar via da ponente a settentrione. Cresta a pendio e sella su cui fu disposta tortuosa, concentrica e organica l’urbanistica della medievale Chiaramonte, dopo la messa a ferro e fuoco angioina di Gulfi, al tempo degli aspri sanguinosi Vespri. Clear-Mont che rifondò la Gulfi araba, che fu l’Acrillae romana, l’Acrillai greca, che fu la castellanza senza-nome dell’età del bronzo siculo-sicana, scoperta dall’archeologo Antonino Di Vita, chiaramontano illustre.

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Atteniamoci alla volontà del caso che semper, a irrefrenabile calamita attrae la necessità delle coincidenze, in grado di tessere la densa trama siciliana delle memorie stratificate a cascata. Corrispondenze che collegano a cassata l’arcaico in continuità e conflitti, senza soluzione, con il post-contemporaneo. Filtrando dal sottosuolo, tali connessioni emergono a ombre, a sprazzi e spruzzi incandescenti quando meno te lo aspetti.

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La Guida e il Viatico ibleo fu stavolta orchestrato familiarmente da Marco da Chiaramonte, romano d’adozione, chiaramontano di nascita, Ragusa di cognome, cittadino d’Europa, clarinettista e politico-economico di vaglia. Amico.

Si cominciò dal rocambolesco Viatico di passo a cavalli motorizzati e smarmittanti per l’erta, che a staffetta pilota portarono alla vetta, portarono al balcone prospettico di San Giovanni sulla città, in grado di bypassare la corsa iblea in salita dei cavalieri seduti sui 200 rombanti motori della Corsa annuale Iblea. Convenuti per la sessantunesima edizione, dalla metà del Novecento, essi giunsero sui loro carri vintage e supervintage, fino a comprendere quelli moderni appena forgiati in carrozzeria ecologica, colati a fibra biologica in calchi, seppur sempre dotati di motori rombanti.

 

Familiarmente giunti che fummo all’appuntamento si spalancarono le porte della Chiesa nonché sede di una delle tre confraternite dei millenari Cavalieri di Malta in terra di Sicilia. Ecclesia del lapideo funebre memento mori di Antonio Ventura che protegge la Gran Macchina di San Giovanni Battista Protettore, sacrificatosi anche per Chiaramonte e per questo suo Protettore. Ecclesia con le balaustre in greggia pietra pece ragusana, intrisa di carbon fossile, intrisa d’asfalto, imbevuta di petrolio ctonio.

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S’ammiscò il rombo antropocenico motorizzato a benzina, quasi a soverchiare i sussurri dell’altro confratello cavaliere di Malta dipinto su tela di Giovanni Portaluni da Licata, nella prima metà del secolo XVII. Confratello strabuzzato d’occhi in procinto di rendere l’anima all’ignoto, sdraiato sul letto di morte con la coperta rossa in presenza del Santo Battista e contornato dalla visione di tutti li Santi.
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Attieniti al letto trasudato dell’ultimo sonno su cui si consuma la lotta sempiterna tra il Demonio e l’Arcangelo Michele, tra il male-male e il bene-bene etterno. Letto ultimo dove si consuma l’attrito rombante tra la paura dell’Ignoto e la speranza dell’Eterna salvezza da tutti i rombi interiori dall’anima vissuti.

Per dirimere il fattuale peccaminoso dell’esperienza in vita dal rimbombo della coscienza, ci vuole la purezza del sacrificio belante. Ci vuole l’innocenza dell’agnello del Santo barbuto e impellicciato. U sapia bonu, (Fra) Michelangelo da Caravaggio, quando dipinse a Malta la decollazione del Battista nella Concattedrale omonima della Valletta, per ingraziarsi l’Ordine a Misericordia, firmando col sangue la tela dello strazio.

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S’ammiscò chiaramontano il rantolo ultimo del fedele settecentesco dipinto con la coincidente sacralità della concomitante festa in preparazione per San Vito.
Scendeste dunque da San Giovanni dei Cavalieri di Malta fino alla Piazza di Santa Maria la Nuova in cui il Patrono chiaramontano, ieratico e meraviglioso in volto, altrettanto mirabile è nell’abito, ricamato da sciamaniche mani di sarti a rosso e blu. Legno forgiato e ammantato d’oro e d’argento da Melchiorre Ereddia, posto su un percolo a quattro colonne coperte di ex-voto, tutto indorato anch’esso, che si staglia nella sua imponente altezza, per opera dello scultore Benedetto Cultraro.

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San Vito, amato e venerato dai popoli di mezza Europa per porre argine e macari fine alla imperitura fragilità umana dinanzi all’ignoto abisso, porre fine alla ciclicità cieca dell’errore, venerato per rintuzzare la crudeltà della sorte e della malattia che conduce infine alla sempre scongiurabile e dolorosa morte.
Veneratio pro imagines agentes su una Santo-mobile che nella Chiesa mariana entra rombante al minino, fino a giungere all’altare per caricarsi tutto lo Santo a rimorchio. Rombante paradosso antropocenico in atto, in ossequio alla modernità fatta di comodi mezzi gommati alimentati a carbon fossile, trasportanti lo Santo in processione notturna e musicante a coriandoli festanti il 26 agosto 2018.

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Ossequiato il Santo, rifocillati pure poi a stomaco viandante sulle tavole imbandite del Ristorante Majore dove si magnificano le papille gustative con le carni del porco, giacché del porco, come della Storia, non si butta via nulla.

Porca e baldracca la Storia vaiassa che s’intride di sangue rappreso e fango; s’ammisca di sterco, liquami e grugniti, di rantoli, sussurri, speranze, perle, vendette e invocazioni dell’humana specie. Ripulisci e sublima la Storia come l’Oste  sapiente riesce a sublimare la carne del Suino ibleo, lo cosparge di fluida gelatina trasparente, lo insacca nel budello, lo impasta nei ravioli ripieni, lo imbótta nella braciola farcita, fino a renderlo un paradossale e gustosissimo falso-magro. Dalla realtà rosea/nero suina alla finzione dell’interpretazione storica e viceversa è sempre un teatro memorabile, innaffiato di vin rosso e olio Dop delle campagne di Gulfi che finisce pure sulla tavola della White House di Washington.
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Olio/Elisir che finisce dunque anche a insaporire ufficialmente i piatti dei Presidenti americani. Per chi degli eletti lo può capire, quel sapore verde oliva induce alla trasparenza e all’armonia universale, pacifica gli animi ma poco può fare per migliorare l’animo dell’attuale inquilino bianco, pro-tempore, idiota dalla stazza di bos primigenio, che Donaldo Trump fa di nome.

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Mentre t’apprestavi alla rivista rombante della parata automobilistica iblea, gioia per grandi e piccini, in presenza dei cavalieri dell’Antropocene, percorrevi l’assolato Corso chiaramontano, vigilato dalla leggiadra e acquatica danzatrice di Canova, pseudo-Paolina Borghese, di fronte al Municipio. Giungevi fino alla balconata Siciliae, umbertina di statua e di fatto, dove la vista del panorama a mitraglia spianata ti faceva vedere anche lo sfregio incendiario dell’anno passato che dalle pendici del Monte Arcibessi giunse criminale sino in vetta.

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San Giovanni e San Vito, Santi tutti e Cavalieri dell’Apocalisse e dell’Antropocene, proteggano Chiaramonte e i suoi abitanti local e glocal, proteggano la Storia stratificata di Gulfi, di Acrillae e Acrillai, proteggano infine i suoi mirabolanti piccoli Musei: quello dell’olio-cultura, l’ornitologico, del Liberty, quello archeologico Di Vita e quello inaspettato degli strumenti musicali: dai fischietti amminchià cu pupu, fino agli strumenti sciamanici africani, ai tamburi rullanti, ai corni soffianti e ai clarinetti mozartiani.

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Musica polifonica antropologica e platonica: “legge morale, ali per il pensiero, anima dell’Universo, slancio dell’immaginazione, fascino alla tristezza, impulso alla gioia e vita a tutte le cose, forma dell’ordine, elevazione al buono, al giusto e al bello, forma dell’invisibile ma tuttavia appassionata, splendente ed eterna”.

 

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Museo enciclopedico dove il paragone con le vette dell’enciclopedismo museale è appropriato, Chiaramonte dove ogni balcone d’ora in poi rimanderà esteticamente alla visione panoramica e enciclopedica sulla valle dei fiumi Dirillo e Ippari, verso l’orizzonte ottico della costa meridionale sicula.   

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