DA LICATA A BERLINO: LUZ LONG E JESSE OWENS. L’AMICIZIA È PIU’ FORTE DELLE GUERRE

Jesse, amico mio, 
qui intorno a me sembra non esserci
altro che sabbia, polvere e sangue. 
Ho paura, Jesse, ho paura di morire (…)
Sento che questa
potrebbe essere l’ultima lettera
che ti scrivo (…)

Cerca di mio figlio e raccontagli di me,
di chi sono stato. Raccontagli della nostra amicizia
più forte del
la guerra.

Il tuo amico Luz
Gela, Sicilia, 13 lugli
o 1943

STOP WARS!  Le enormi lettere cubitali campeggiano in rosso sul palazzo abbandonato all’incrocio semaforico che conduce verso la Karl Marx Allee, mentre tutto brucia nel Donbass. Il fuoco incenerisce il grano ucraino di Démetra. Il sole picchia già forte a Berlino alle dieci del 4 agosto 2022. Attieniti al volto caravaggesco del ciclista che mostra uno sguardo ad alta tensione nello sforzo proteso innanzi a sé.

Nel suo traguardare intravvedi il kinoglaz dell’uomo vertoviano con la macchina da presa, il cine-occhio che tutto registra e conduce alla eroica Sinfonia del Donbass di Dziga Vertov, erede della Sinfonia berlinese di Walter Ruttmann. Tutto il passato novecentesco intravvedi in quello sguardo ammiscato con l’anelito incontenibile per il traguardo olimpico della vittoria.

Faceva forse meno caldo quel 4 agosto 1936 all’Olympiastadion di Berlino? Probabile, ma gli sguardi del pubblico intero erano bollenti, tutti concentrati sui salti in lungo di Luz Long e Jesse Owens. C’era anche il kaltes auge del Führer nella tribuna d’onore, gelido occhio puntato insieme agli sguardi dei suoi gerarchi in alta uniforme, tutti in attesa di applaudire la superiore vittoria ariana. Leni Riefenstahl in Olympia lo mostra chiaro quel che accadde invece nella sequenza della gara. Prima l’uno poi l’altro, prima Luz poi Jesse nell’avvincente tensione dello slancio si avvicendavano in una manciata di millimetri. Alla fine però la medaglia in oro 24 carati andò a Jesse, quella in argento a Luz, il bronzo al giapponese Noto Taijma. 8 metri e 13 centimetri. Un primato che restò scolpito fino alle Olimpiadi di Roma del 1960.

Nessun sapiens aveva mai saltato così in lungo prima. Un salto vitale incontenibile che per Jesse aveva significato vincere anche altre 3 medaglie d’oro (100m; 200m e 4×100). Forse era prevedibile che la potenza fisica del corpo muscolare del sapiens africano avrebbe sbaragliato quella del teutonico sapiens ariano. Ciò che a quella data era imprevedibile fu invece la solidarietà sportiva che legò Luz, di ferma fede nazionalsocialista, all’afroamericano. Solidarietà ammirata per le capacità tecniche e vera amicizia tra i due atleti che seguì poi quella epistolare, anche negli anni seguenti all’Olimpiade.  

Trascorsero appena tre anni e la bella gioventù atletica germanica, dopo un addestramento accelerato, sarebbe stata spedita senza sconti e privilegi dai generali hitleriani sui fronti roboanti della blitzkrieg e poi su quelli delle linee gotiche di difesa dei nuovi confini del Terzo Reich. Malgrado i primi successi espansivi la potente macchina da guerra teutonica s’inceppò a fronte dell’acciaio sovietico, americano, britannico, e negli ingranaggi di acciaio fondente si impigliarono le carni sanguinanti e lacerate della bella gioventù hitleriana.

Così fu anche per gli argentei muscoli olimpionici di Luz Long – spediti in forza nella contraerea della Luftwaffe in Sicilia. L’ultima lettera da Biscari di Luz a Jesse – capendo che il fiato della morte stava per raggiungerlo – fu di chiedergli di andare a trovare suo figlio in caso di decesso in battaglia. Figlio che non aveva potuto ancora conoscere. Promessa mantenuta da Jesse molti anni dopo il giorno delle nozze del ragazzo. Eh si perché l’argento vivo di Berlino fu colpito durante la strenua difesa dell’aeroporto di Biscari, presso Acate, non lontano da Gela dove fu poi sepolto in un primo sepolcro. Il proiettile yankee di grosso calibro – sparato durante il Grande Sbarco dell’Husky, tra Scoglitti e Licata – ferì l’eroe Olimpico proprio sulla tornita coscia che aveva dato la vittoria alla Germania. Il sangue arterioso femorale fluì copioso, tanto copioso che dopo quattro giorni di agonia Luz rese l’anima ai Campi Elisi, volò nel Pantheon dei grandi atleti di tutti i tempi che dalla Grecia in poi erano caduti uno ad uno per il destino che accumuna anche i semidei dell’Umana Specie

Così riflettevi – attenendoti ai drammatici fatti intessuti di tale amicizia adamantina – superato il semaforo della Karl Marx Allee, nella bollente Grosse Stadt a 37 gradi, nell’estate antropocenica del picco anticiclonico africano venti-ventidue: trascorsi 76 anni dalle Olimpiadi, 79 dallo sbarco dell’Husky a Gela-Licata e dalla morte dell’eroe atletico, 77 anni dopo la caduta di Berlino in mano all’Armata sovietica.

Quel che principiò con i bengala che illuminarono a giorno Licata, nella fatidica notte del 10 luglio 1943 – in cui le popolazioni costiere si rifugiarono sotterra e nelle grotte – fu l’inizio della fine dell’Asse d’acciaio Roma-Berlino. Nessuna velleità bellica della Fortezza Europa resse all’impatto delle 2900 e passa navi del D-Day anglo-americano provenienti dal nord Africa. Poi il 25 luglio, la cattura a Villa Savoia der Puzzone da parte del capitano dei carabinieri Paolo Vigneri originario di Calascibetta, l’armistizio di Cassibile, l’8 settembre di Badoglio, il re fuggiasco, la disfatta, l’RSI, la resistenza, le stragi, Duce e gerarchi a testa in giù a Piazzale Loreto il 29 aprile 1945.

A 1713 km di distanza dal bagnasciuga di Licata, nella Berlino del 2 maggio 1945, la puzza di bruciato delle carni già cadaveriche del Füher furono il putrido carbonizzato epilogo. Molto doveva però ancora accadere nella città del dolore.La divisione in due zone della Grosse Stadt, punita e isolata nel Brandeburgo, il Check point Charlie, il muro kilometrico. A Ost Berlin il sangue sul muro, la Stasi, i Vopos, ma anche le vittorie orgogliose degli atleti della DDR. A West Berlin i graffiti, il punk-rock Iggy Pop, Lou Reed, David Bowie, Nick Cave, Giovanni Lindo Ferretti e i CCCP Fedeli alla Linea, Wim Wenders, gli angeli sopra Berlino. Il Cielo plumbeo sopra Tempelhof. La pietà e la rinascita alla caduta del muro nel 1989.

Trent’anni fa esatti transitavi per la prima volta lungo la Karl Marx Allee con gli amici berlinesi David e Johannes, mentre a Palermo, nella Grande Guerra mafiosa dichiarata allo Stato di diritto repubblicano, esplodeva l’auto vigliacca imbottita di tritolo a Via d’Amelio: 19 luglio 1992. Le carni straziate caddero fumanti tra le lamiere contorte. Paolo, amico di Giovanni, sapeva che poteva capitare anche a lui di saltare per aria, ma nessuno prevenne – qualcuno al contrario, dalle segrete stanze dei servizi segreti deviati, rese possibile che ciò avvenisse, anche per Paolo, con lucida determinazione e profitto.

Seguì il buio della notte e l’imbroglio della cortina nebbiosa. Nacht und Nebel
Il nazismo non è solo IL nazismo. Lo capisci quando senti l’odore delle carni bruciate degli innocenti e di coloro che si battono contro i soprusi e la prepotenza. Nacht und Nebel, Nuit et brouillard di Alain Resnais a Sachsenhausen, ad Auschwitz e in ogni dove l’industria dello sterminio ha avuto luogo: l’ignominia della menzogna dell’Arbeit Macht Frei. La falsità e la menzogna, vertebre del nazismo
e di ogni disumanità.

Dal finis terrae sabbioso di Licata, al sole che tramonta da decine di migliaia di anni dietro il Monte Ecnomos – che vide le navi puniche combattere contro quelle romane di Attilio Regolo per il dominio del Mediterraneo – dalla Porta d’Europa fino Unter den Linden e Brandeburg Tor, una linea attraversa il Continente dalla Sicilia al Brandeburgo. Una linea che unisce oggi l’ecatombe invisibile del Canale di Sicilia del secolo XXI a quella del Monumento agli Ebrei assassinati d’Europa di Peter Eisenman.

2711 nere steli nella notte di Berlino gridano la pena muta anche per l’Ecatombe del Mediterraneo  per coloro non riescono ad attraversarlo.

Così scrisse Primo Levi il 10 gennaio 1946, parole necessarie traducibili nell’oggi contro ogni forma di razzismo:

Voi che vivete sicuri
nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
il cibo caldo e visi amici:

considerate se questo è un uomo
che lavora nel fango
che non conosce pace
che lotta per mezzo pane
che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna,
senza capelli e senza nome
senza più forza di ricordare
vuoti gli occhi e freddo il grembo
come una rana d’inverno.

Meditate che questo è stato:
vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
stando in casa e andando per via,
coricandovi alzandovi;
ripetetele ai vostri figli.

O vi si sfaccia la casa,
la malattia vi impedisca,
i vostri nati torcano il viso da voi

Un pensiero su “DA LICATA A BERLINO: LUZ LONG E JESSE OWENS. L’AMICIZIA È PIU’ FORTE DELLE GUERRE

  1. altri dettagli::
    – A Crotone, circa 400 a.C., lo sciamano Pitagora mostrò in segreto allo scita Abari la sua coscia d’ oro, segno di discendenza da Apollo : oro /lux -luz… era tutto previsto, lux perpetua luceat eis
    -Tempelhof – Licata : Asse con volo pindarico in orario Easy Jet + sbarco intermedio a Baaria (non è roba da tutti)

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