LA STRANA GUERRA DI JOLE E MASON

Non possiamo che attenerci a due date – tra le tante della Storia d’Italia nel secolo XX – che furono, allo stesso tempo, l’inizio drammatico di un evento contenente la fine di un’epoca. Se ci pensi bene quasi tutti gli eventi determinati da storiche macro-decisioni producono conseguenze radicali che mettono allo specchio un inizio e una fine, allo stesso tempo. La faglia della storia. Giano bifronte: un occhio al passato, uno al futuro; un occhio all’imprevisto un occhio al disastro. L’inizio si conosce, la fine è incerta. Quando osservi il principio di una guerra dall’epilogo capisci gli errori degli inizi.

La prima data in questione fu il 10 giugno 1940. Inizio tracotante e anelante una blitz-vittoria a fianco dell’alleato teutonico da un lato ma anche – di lì a poco – la fine dell’immagine di un nazi-fascismo invincibile dall’altro lato.  Mai poi affrontare l’Orso Russo. I Combattenti partiro d’estate per poi ritrovarsi l’autunno in faccia. Nel ’41 si ritrovaro l’Orso Rosso con i suoi T34 a gasolio sovietico avresti dovuto capire che te l’avrebbe fatta pagare a suon dell’Internazionale fra capo e collo. Ti dovevi aspettare che avrebbe usato l’arma non convenzionale dei 34° sotto zero, congelando e amputando piedi e mani a quei Combattenti di terra senza scarpe sul Don in ritirata. Bedda Matri… Mai farsi affrontare dalle fortezze volanti, bombardamenti a tappeto, calor bianco che si trasformò in fungo atomico quando il B29-Enola gay sganciò Fat Boy su Hiroshima mon amour.

La dichiarazione di guerra dell’Italia fascista a Francia e Inghilterra aprì da un lato i fronti di scorrimento del caldo sangue patrio in terra straniera e le fosse comuni per i macellati corpi civili in casa. Dall’altro lato le fetide tombali parole, che aleggiarono su Piazza Venezia, preconizzarono come tutto quel sangue si sarebbe riversato con ignominia addosso alle camice nere.

Tutti i paesi e città siciliane e dell’Italia mostrano in piazza le lapidi eroiche dei caduti nelle fosse belliche novecentesche. Le povere Madri a lutto, che partorirono i figli morti, esaltate con meschina retorica . Il lato militare e il lato civile. Il lato statale tra piombo e cultura. I morti in divisa da “presentare sul tavolo della pace”, i morti in pigiama che si riversarono sulla coscienza notturna dei capi. Leggi razziali, deturpazioni dell’etica umana, fradicia menzogna della purezza etnica. Bedda Matri…

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La seconda data in questione è quella della notte tra l’8 e il 9 luglio 1943 quando sbarcarono li anglo-miricani sui litorali littori della costa sud siciliana. Inizio delle operazioni di sbarco in massa e occupazione della madre patria da parte di molti fratelli d’Italia d’oltre Oceano.

Cugini d’Italia, l’Italia s’è desta ,
Pronipoti d’Italia, l’Italia sarà pesta,
Sorelle e fratelli, cognati, generi, nonni, padri, madri, suocere d’Italia piangete il sangue fraterno. Sangue raffermo versato che scorse nei giorni che seguirono al D-Day. A decine di migliaia ne caddero nella campagna di Sicilia da entrambi le parti brechtianamente, 65mila checché ne dica la vulgata.

Prima della firma dell’armistizio del 3 settembre a Cassibile, morti assà ci furono: 22mila americani tra morti, feriti e dispersi, 20mila ammalati di malaria; 10mila tedeschi, 5mila italiani e 116mila prigionieri. Dopo l’annuncio radio badogliano dell’8 il sangue iniziò a scorrere sul Continente.

Licata poi Gela, prime città dell’Europa sbandierate miricane, bedda matri! Accussì assà su?! Fratelli d’Italia d’oltre Oceano, nivuri d’Africa, bovari, cowboys marini. Per quanto li miricani non ritenessero propriamente un fatto geografico italiano la Sicily Isle, con buona pace di Giuseppe Garibaldi, questo fu. A Licata sbardierarono le stelle a strisce ma si fregaro la campana, li miricani…quella che poi divenne letteraria e filmica, la campana appunto per Adano.

Questa la premessa a 79 anni dai fatti dell’epocale bagnasciuga littorio.

Chi fosse e dove si trovasse l’archeologa preistorica Jole Bovio, sposata con l’esimio archeologo Marconi, poi prematura vedova, nel giorno della tonante bombastica dichiarazione di guerra, non sapresti dire. Invece sai benissimo dove si trovava quando sbarcaro li miricani. Donna romana d’acciaio, scesa in bassa preistorica Italica per scavare e studiare indefessamente, se ne stava salda ai comandi della tutela del Patrimonio archeologico e artistico dell’Isola, nella Palermo del Museo Salinas devastata dalle bombe alleate che erano cadute copiose prima francesi, dal 23 giugno 1943, poi britanniche e miricane nei mesi e anni seguenti, martellanti fino appunto allo sbarco quando alle bombe alleate si sostituirono quelle tedesche, nella controffensiva.

Bedda matri, dopo l’8 settembre, quelli che si diceva fossero amici, divennero belve furiose, spietate, fascio-naziste. O con loro o contro di loro. O RSI o morte. ancora erano lontane le Fosse Ardeatine, Boia di un mond leder…Sant’Anna di Stazzema, Monte Sole – Marzabotto. Boia di un mond leder…Kappler! Fino a che non risuonò: Ora e sempre resistenza!

Ebbene nel 2022, tutti dovrebbero sapere quanto i funzionari della soprintendenza regia in Sicilia: Jole Bovio e il friulano Mario Guiotto, abbiano fatto di grande e bene per proteggere tutto quel ben prodotto dall’uomo archeo-umanistico stante nell’Isola, accussì che le generazioni successive potessero conoscere e ammirare quanto di assoluto i greci, i romani, gli arabi, i normanni gli svevi, gli spagnoli, e compagnia costruendo, fecero per e sulla terra a Tre punte. Strana terra, Continente, strana guerra. Per proteggere la strana ed eccentrica terra ci vollero persone coscienti e determinate. Donne e uomini mossi da una visione pratica e ideale della vita e delle cose. Saper pensare senza cedimenti per fare. Agire con determinazione etica e coraggio quando necessario. Rotondi, Lavagnino, Wittgens, Bucarelli…Bovio Marconi, Guiotto. Quanto poco tutto questo avesse a che fare con il fascismo te lo dice il fatto che er Puzzone dell’arte piacesse solo l’aspetto tronfio e propagandistico, s’annoiava e sbuffava quando – per dire – venne baffetto a Firenze, Roma e Napoli nel 1938 delle leggi razziali. Estasiato artista fallito davanti a sculture e dipinti, per vedere la grande arte, precedeva impettito il Duce in parata gerarchica Luce. Così disse di prima mano Ranuccio Bianchi Bandinelli da Siena che in tedesco li accompagnò. Della pittura proprio ar Dux nun je poteva frecà de meno.

S’era capito che con l’inizio del secondo conflitto Mondiale l’immenso patrimonio storico artistico e monumentale d’Europa sarebbe stato sottoposto a rischi altissimi, danni devastanti e ruberie ancor più di quanto era avvenuto per il primo conflitto.

Morte, polvere e macerie monumentali con sotto millenni di storia e raffinata bellezza. Dichiarare guerra e allo stesso tempo cercare di riparare il riparabile con sacchi di sabbia, strutture lignee per le sculture in piazza. Dalle metope dei templi di Selinunte, al Cenacolo di Leonardo, fu tutto un imbottire incrociando le dita, toccandosi i cabbasisi, suonando allarmi cupi.

Jole aveva individuato nell’Abbazia Benedettina di San Martino alle Scale il luogo di ricovero migliore, riuscì a mettere al riparo quasi tutto prima che le bombe sbriciolassero la Chiesa dell’Olivella e un’ala del museo con l’appartamento suo dove viveva. Bedda matri!

Atteniamoci ai fatti. Nella mattina ventiventidue bolliva l’asfalto antropocenico a via Roma, passavi davanti alla chiesa di San Domenico dove riposano Giovanni Falcone e Salvatore Tusa. Strano destino quello di morire esplosi entrambi: uno a Capaci per mani mafiose, credendo nella giustizia, l’altro nei cieli etiopi ex imperiali, che furono coloniali, credendo nell’archeologia preistorica e marinara.

Arrivaste alle porte laterali del Salinas dove si aprirono gli orizzonti di quel che Jole protesse perché oggi si possa dire: queste sono le metope di Selinunte, questa è la Madonna di Antonello, questo il polittico del Mabuse, queste le teste di Laurana oggi a Palazzo Abatellis. Questa non è la Natività di Caravaggio all’Oratorio San Francesco, ma una copia fotografica, non tanto perché si perse durante il conflitto, oppure se lo prese il Goering, oppure se lo magnò il gatto mammone, o lo polverizzò la guerra aerea.  Non per tutto questo, ma perché se lo presero i lurdi mafiosi chissà poi per farci cosa nell’era repubblicana, forse fatto a pezze, forse usato come contropartita di droghe.

Quante carte, quante pubblicazioni, quanto sudore, quanto dolore e paura in quelle carte conservate nell’Archivio del Museo Salinas. Quante foto delle protezioni e delle inevitabili macerie, ma anche foto come quella dello scavatore archeologico sicanissimo con un abito tutto moda neandertaliana di pelle concia e lana di caprone. Bedda Matri!

In quelle carte spuntano le lettere di Mason Hammond, the Great classical Philologist di Harvard, parlante correttamente l’italiano, che fu spedito da Eisenhower per primo a constatare cosa avevano combinato le bombe delle fortezze aeree, cosa avevano combinato i nazifascisti altresì al patrimonio che sarebbe poi diventato Unesco, ovvero intangibile Patrimonio dell’Umanità.

Mason arrivando a Siracusa – soffrendo di una forte e fastidiosa dissenteria nord-africana – si sorprese che tutto sommato il Patrimonio fosse in gran parte intatto, un patrimonio che era più di un patrimonio, era un fulgòre, un diamante, una droga, un’ayahuasca, una panacea, un’adrenalina allo stato puro. Ma come avevano potuto ricostruire ad esempio così vertiginosamente intere città dopo il terremoto secentesco devastante quelle città del ragusano? Uno stile univoco, verticale e cromatico senape, caldo e post barocco per quanto i termini stilistici contino. Rimase tutto o quasi intoccato dai bummi miricani e ‘nglisi.

Con un mezzo militare Mason era infine riuscito ad arrivare a fine luglio a Palermo quando a Roma capitolava er Puzzone giù dalle irte scale di Palazzo Venezia. Bedda Matri! Piscione er Puzzone se l’era fatta addosso vigliacco nelle mutande quando poi se l’erano preso a Villa Ada sull’ambulanza i carabinieri di Calascibetta, guarda caso…

Strana guerra, quella del prof. Mason, quando incontrò la Soprintendente di ferro Jole. Gentleman con Lady, come racconta con dovizia di particolari inediti Attilio Albergoni da Palermo, nel suo bel libro su Mason Hammond.

Il Prof. Mason se ne stava all’Hotel Sole, in una stanzetta su C.so Vittorio Emanuele, che al Salinas ci poteva andare quasi a piedi. Faceva caldo, quel 25 agosto 1943 quando poi con Jole salirono in auto diretti a San Martino alle Scale per vedere come avevano sistemato le casse delle opere riparate.

79 anni dopo precisi salivi con la Dott.ssa C.I. e il Dott. V.C. lungo C.so Calatafimi fino a costeggiare il Castellazzo in giornata estiva tipo irlandese, caldo, nuvole e fresco. Si discorreva di Jole e Mason – come fossero con noautri in auto – di come avrebbero commentato il paesaggio, la condizione della città ferita, le cose da fare, le cose fatte. Mason uno dei poi detti Monuments men, bell’uomo, umanista in divisa: talking me about the weather, talking me about the war, talking about Sicily, very schocking and particoular country

All’Abbazia Padre R. accolse la compagine post bellica con la chiara intenzione di dimostrare che l’abito nero benedettino non fa il monaco. Sotto all’abito ci sono gli uomini comuni. Corsi e ricorsi. Nel salone della biblioteca consultaste i registri dei fatti giacché i monaci si attenevano ai fatti.

Una scala in ferro battuto per il tetto dalla biblioteca, una stairway to heaven, Mason folgorato vedendola preconizzò il successo dei Led Zeppelin che, da fallibili incendiabili dirigibili tedeschi, sarebbero diventati infallibili rock star britanniche miliardarie. Oh Bedda Matri!

“Che Dio ci protegga”, scrissero i monaci il 10 giugno ‘40. Dio nelle vesti di Jole e Mason apparvero al monaco per proteggere la Madonna di Antonello e quella del Rosario di Michelangelo C. Libri su libri, dipinti su dipinti, vasi su vasi, nei depositi al piano terra dell’ingresso, portati con i camions, stettero fino al 1951, ddà sutta fino al ripristino del Salinas e all’apertura del Palazzo Abatellis con il mirabile progetto di Scarpa, che lo stesso Martin Gropius da Berlino definì il miglior progetto di Museo post bellico!

Dopo un’attenta constatazione dello spirito dei luoghi – annusato il pasto in refettorio dei monaci – rinfrescaste le papille e scendeste a rotta di collo verso Corso Calafimi, verso i destini delle opere mute che invece parlano eccome. La possono raccontare eccome la loro storia, ma per farle parlare ci vuole la pazienza dello studio, la lenta presa di coscienza, la fatica della connessione, la percezione che tutto è stratificazione, tutto passa dalla sofferenza, dalla perdita, dal danneggiamento e dal restauro. Tutto poggia sulla follia sempre possibile, in bilico tra l’assurdità della depressione post bellica e l’adrenalina della felicità delle Arti, cibo mai deperibile.

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