Caronte e il declino statale: SS 626 / SS 123 /SS 122

Brucia Focene. Brucia la centralina elettrica. S’accendono gli animi, a Fiumicino Aeroporto di Roma per fatidici 20’ di nero aeroportuale black out, nel buio dei terminali. Brucia il motore della Grande Nave Veloce nel Porto di Palermo. S’accendono gli animi dei viaggiatori paganti nella snervante attesa agli imbarchi aero/portuali. Brucia la Gallura. Brucia Alì, palestinese di 18 mesi a Kfar Douma.  Ribrucia la Cisgiordania e ribrucia Gaza della nuova intifada. Bruciava Atene sotto il secco Meltemi . Si bruciano i miliardi nelle borse asiatiche. Bruciano le stoppie, anche sulla Casilina. Bruciano gli occhi di Caronte mentre guata il Canale di Sicilia con il ferrigno nocchiero gridando “Guai a voi anime prave mai più isperate di riveder lo cielo (…) e batte col remo qualunque s’adagia”. Sventurati color che pagarono l’obolo per la vita migliore, sventurati giacché s’adagiarono inermi, come corpo morto cade, sui fondali del Mediterraneo libico, nell’estate del Caron dagli occhi di bragia. Altro che viaggio della speranza, altro che viaggio della vacanza, altro che catabasi.  L’inferno si sconta vivendo, quando l’Ade sovverte l’ordine e invade il bacino del Mediterraneo.

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Crollaro’ li ponti, creparo’ li viadotti, craparo’ le volte delle gallerie. Atteniamoci ai fatti:  non fosse stato per il crollo del ponte/viadotto, denominato Petrulla, sulla SS 626 Caltanissetta – Licata, la Montagna (Petra Brulla) da cui fu tratto il nome, sarebbe rimasta ancor ignota, non sarebbe cioè rimbalzata dalle cronache dei quotidiani locali a quelle nazionali, sino in televisione, ove si videro la frattura e l’afflosciamento in valle di cementi e catrami, ferri e guard rails. Noto il Ponte, ignota però la Montagna Petrulla. I viadotti di tutte le autostrade d’Italia, come la toponomastica delle città – nessuna esclusa  – grondano di significati che il viandante spesso ignora o non vede proprio per il passo veloce, la mente distratta, l’occhio iphonizzato/smartphonizzato. Il numero della strada e il nome dei ponti sono per lo più considerati come facce burocratiche della stessa medaglia. Codici Apocalittici di un Precipitato Amministrativo. Il passante non s’interroga, oltre la superficie, su nomi e cognomi, le date della propria toponomastica urbana, figuriamoci su quella dei fiumi, dei torrenti e delle alture delle autostrade percorse a 130 kmh. Non ne ha il tempo, perché non è Nel Tempo. Nei due pistoni d’Italia, A1 e A14, acceleratori di particelle del Boom Economico, provati a rifletterci e trovi la toponomastica di un mondo, di una storia, di una geografia, e di lingue che trasudano dell’arcaica penisola. L’obiettivo del viandante post-contemporaneo è la destinazione ultima con il carro a motore lanciato e concentrato a sgasare nei sorpassi, a consumar gasolina. Il paesaggio, l’orografia certamente sono un mirabile Cinememascope a colori, un tele-paesaggio, una tele-visione distaccata, priva di senso stratificato se non quello della considerazione morfologica, dei colori, dell’avvicendarsi di colture, di borghi accucuzzolati, ma anche spazi residuali, Outlet e svincoli con l’archeo-monnezza post-contemporanea. Fino all’agognato cartello a forma di freccia con la scritta bianca in campo azzurro o verde della propria destinazione, che ti fa decelerare il carro/motore.
In  mezzo e ai lati di questo tele-paesaggio, in un’unica sequenza, in un unico camera-car, c’è il Mondo misterioso, celato e ignoto degli Antichi Popoli Italici. I Popoli che dormono sulle colline, nelle grotte, nei tumoli, nelle fosse, color che aleggiano nella toponomastica memoriale, nelle Antiche Città Loro.

626Le cose andiedero così nel luglio 2014: a ridosso di un week end che incolonnava verso il mare alcuni veicoli che transitavano sulla SS 626 (diramazione della Caltanissetta/Gela), “scorrimento veloce”, connessione stradale Licata a Ravanusa/Campobello/Canicattì (provincia di Agrigento), il viadotto Petrulla  improvvisamente s’impennò per quelli che procedevano da nord e parimenti s’inabissò per coloro che venivano da sud. Auto sfasciate con fracasso di lamiere, sospese nel vuoto, feriti non gravi, spavento e urla ma soprattutto l’orrida sorpresa, lo schock annichilente di un’intera comunità abituata al transito sulla 626 per l’agnizione che tutta quella possente cubatura di cemento armato, sospeso in viadotti faraonici, potesse fendersi e sbriciolarsi, accartocciarsi in un batter d’occhio e rovinare giù nel vallone del fiume Himera/Salso, che nell’antico i Sicani e i Greci percorrevano con le zattere. Lo “stratuni” – che per ironia della sorte porta il numero di legge parlamentare sulla sicurezza sul lavoro – voluto dall’Onorevole Lauricella Salvatore,  ai lavori pubblici negli anni ‘60/’70, Sindaco e Ras del PSI di Ravanusa – “stratuni” e viadotto Lauricella rinomato come il più alto della Sicilia – doveva garantire imperitura memoria al Grande Politico, financo Presidente del PSI craxiano, che grazie ad esso si fece bacino elettorale repubblicano, pari solo alle relazioni feudali paternalistiche pre-repubblicane, che del consenso, potevano fare tranquillamente a meno. Sconcerto, rovina economica per trasporti di merci, costi di ripristino, lunghe verifiche, tutto ciò lascia alle spalle il crollo del ponte Petrulla. L’Assessorato ai Lavori Pubblici della Regione Sicilia, dopo consultazione con i comuni interessati, propose di ripristinare la tortuosa “vecchia strada”, la SS 123 giacché negli anni a seguire l’apertura della SS 626, essa era andata progressivamente degradandosi per inerzia nel manto stradale, nei guard rails, eccetera eccetera. Dicono: cemento depotenziato la causa del cedimento del Petrulla? Frattura dei travi? Equazione razional-social-clientelare: depotenziare il cemento per ingrossare e cementificare i conti in banca di costruttori, aziende fornitrici, oliare le segreterie amministrative politiche et cetera et cetera.

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Ogni modernizzazione ha i suoi costi, ogni costo ha la sua contropartita. La 626 nel velocizzare il transito retrocesse e fece declinare la SS 123 ma anche la ferrovia, ridotta a far passare un paio di treni al giorno, utilizzato da sempre minor numero di passeggeri. Tutto questo è specchio italico della questione meridionale, occasione per riflessione e bilancio su costi e benefici che, inerpicandoti per la “strada vecchia”, capisci chiaro e tondo. La SS 123, come la SS 122 Palermo-Agrigento tutta cantieri, saranno tortuose ma non più di altre mille strade che solcano valli e colline della Penisola e non per questo sono state abbandonate. Tanto i viadotti della 626 sono fini a loro stessi, sopraelevando oltre alle auto anche la visione del Paesaggio rendendolo storicamente incodificabile, quanto la 123 mostra invece il Paesaggio a quota umana, animale e archeologica: bagli, campi arati, vigneti, tombe a grotticella sicane, armenti che transitano arcaici da un pascolo all’altro condotti da pastori a piedi o a cavallo. Il tempo di percorrenza rimane al fine lo stesso tra Licata e Campobello di Licata, città nella quale, venendo da Sud con la “strada vecchia 123”, comprendi il senso urbanistico, mentre la 626 lo annulla per una visione faraonica, che del viadotto è il sepolcro. Anche le strade storicamente fanno un Paesaggio: arricchirlo o distruggerlo questa è la scelta tra profitto, benefici, rispetto di storia e contesto.         

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